Biografia artistica di Sergio Albano
Chi siamo
Sono nato a Torino nel 1939; da mio padre, pittore, e da mia madre acquisii quella sensibilità e amore per la natura e per ogni forma d'arte: dall'architettura, alla musica, alla pittura. Nei primi anni di vita, sfollati nel Vercellese, assorbii inconsapevolmente quel paesaggio e quelle geometrie piane che penetrarono profondamente nel mio animo. Quegli inverni grigi, il ghiaccio, la neve, i vicoli tristi e le grandi fattorie, la nebbia, tutto questo mi rimase dentro. A Torino si andava alle basse di Stura: ecco i campi di grano, i fiori: papaveri, fiordalisi, lo sciacquìo del torrente lontano. Disegnavo dall'età di sei anni: mi allenavo fantasticando sui cartoni animati che vedevo al cinema e così trascorrevo le mie domeniche.

Mia sorella, di tre anni avanti a me, era più aggiornata: leggeva i romanzi russi, seguiva le avanguardie di allora. Poco a poco mi avvicinai anch'io a Čechov, Turgenev, e man mano tutti i grandi russi divennero il mio pane quotidiano. A loro devo la mia formazione, sia in campo musicale (Musorgskij, Borodin, Stravinskij), che letterario. Dopo aver frequentato la scuola Professionale d'Arte Ceramica (per la quale non ero portato) mi iscrissi al Liceo Artistico (unitamente andavo ad apprendere il mestiere dell'illustratore dal bravissimo Luigi Togliatto Amateis, che abbandonai presto). Il primo importante impatto pittorico fu Caravaggio che mi influenzò non poco.

Io, sedicenne alla ricerca inconsapevole di me stesso, ebbi come maestro Gregorio Calvi di Bergolo, frequentai il suo studio per breve tempo, ma mi bastò per assaporare quell'atmosfera (viveva allora nello stupendo Palazzo della Valle, in Via Carlo Alberto). Il senso dell'antico del nostro Barocco ritornava in me sempre più prepotente e, con la scoperta del Canaletto e del Bellotto, ritornò più chiaro l'amore per il Vedutismo per la razionale visione del mondo liricamente filtrata. Erano questi gli anni di Beethoven, Bach e Mozart, della scoperta entusiasmante dell'Opera dello Juvarra, del Vittone, dell'Alfieri e di tutti gli architetti che operarono in Piemonte nel XVIII Secolo. Dipingevo dal vero, strenuamente attento e scrupoloso nel descrivere obiettivamente la natura che mi circondava.
Andavo a piedi, in bicicletta e poi con la prima auto a scandagliare la natura.
Chi siamo
Devo ammettere che la prima influenza importantissima l'ebbi appunto con mio padre, dalle visitazioni delle mostre dei pittori dell'Ottocento: la loro analisi così descrittiva mi colpiva, la pittura di genere, in parole povere la vita agreste, la descrizione naturalistica di un Calderini, mi ricondusse al Naturalismo checoviano. Nel frattempo amando molto il disegno e l'architettura andavo disegnando ogni angolo di Torino, mettendomi negli angoli più disparati della città. Grande fu il piacere di condurre questo esercizio che mi procurava gioia e sicurezza in me stesso, ma soprattutto conoscenza sempre più approfondita della prospettiva e della forma in generale.

Su invito della Galleria Fogliato allestii la mia prima personale nel 1961 con cinquanta quadri. Marziano Bernardi elogiò questa mostra: i soggetti andavano dalle colline langarole a vedute cittadine. Lo schema era molto classico, la pennellata dava però vitalità ed energia a questi soggetti, molto nella tradizione corrente pur con qualche audacia di taglio. Il ripetere formule conosciute, il rimanere accostato ad una pittura non innovativa mi fece però sprofondare in una grande angoscia. Non vedevo ancora la possibilità di uscire da determinati schemi e consuetudini pittoriche, finchè il caso mi portò a trovare un modo più personale, intimista, di entrare nelle cose. Una tecnica più raffinata, un maggiore lirismo contenutistico. Non andavo più dal vero se non per prendere appunti, componevo in studio. La scoperta, anzi questa esigenza nuova, mi avvicinava al mondo dei Fiamminghi: quell'analisi allucinante mi mandava in estasi.

Chi siamo
Feci un viaggio nelle Fiandre e rividi i Grandi da vicino: Bruegel, Bosch, Metsys, ecc.., ma questa analisi mi portò ancor di più a chiudermi in me stesso, in un mondo iperprotettivo, alla esasperata ricerca del passato vissuto come un rifugio, dal quale non poter più uscire. Fu con il cambiamento d'alloggio che nel mio cielo avvenne un cambiamento radicale. Dalla casa antica di gozzaniani ricordi dalla quale uscivo arrivavo in una zona di nuovissimi casoni di dieci piani, strutture moderne: acciaio, cemento, asfalto, neon. Tutto questo mi portò a far piazza pulita di un passato troppo pesante: fu un risveglio, un bisogno di fare ordine e chiarezza nella mia vita.La pittura, l'arte in generale ci fa da specchio; tutto ciò che avviene in noi viene riflesso perfettamente sulla tela. Anche qui comunque la casualità ebbe non poca parte in questa evoluzione. La ricerca della forma in termini geometrici, lo sfrondare la composizione di ogni elemento inutile, la messa al bando di inutili nostalgie diede alla mia pittura un nuovo impulso.
Con una seconda grande mostra alla Galleria Davico, nel 1971 potei mettere a punto questi obiettivi, la ricerca di un assoluto etico. Continuai a sviluppare nei successivi anni questa ricerca che all'inizio escludeva una visione spaziale, quindi prospettica: mano a mano la necessità di ampliare i miei orizzonti, la necessità di dare maggiore vitalità ad una visione troppo ieratica e fissa mi portò a sviluppare la ricerca dello spazio, attraverso la prospettiva. Nel frattempo si aprì nella mia vita una nuova possibilità: l'insegnamento. Insegnavo figura e ornato in un Liceo Artistico privato. Il contatto con i giovani mi diede una sferzata, in poche parole mi aprì maggiormente al mondo della vita. Vivere in isolamento per tanti anni, come è stato per me, se da una parte mi portò a dare grande profondità alla mia ricerca, dall'altra mi precludeva il confronto, il dialogo con i miei simili.

Chi sono
Nel 1975 in seguito ad una mostra peraltro fortunata, andai nuovamente in crisi. Questa volta non era un ripiegamento in me stesso, ma un desiderio di maggiore apertura. Non sopportavo le gallerie, l'idea del quadro come oggetto commerciabile. Avevo bisogno di grandi spazi pubblici dove tutti potessero fruire della mia opera. Feci così dei murales in alcuni edifici pubblici, nel mio studio di Via Perrone, che nel frattempo avevo affittato (lo studio che fu di Mastroianni e poi di Terzolo). Fu una parentesi assai proficua che mi avvicinò maggiormente alla pittura contemporanea: Siqueiros, Pollock, Matta. La mia piccola rivoluzione durò un anno o due, dopodichè ritornai alla ricerca che era più mia. Nel frattempo frequentavo l'Accademia (per ottenere il titolo di studio). Diedi pure l'abilitazione e poi non ne feci nulla. In questo ambito sperimentavo tecniche nuove e soprattutto davo libero sfogo alle mie ansie artistiche-psicofisiche.
Nell'Ottanta mi sposai e ciò diede alla mia esistenza una maggiore stabilità. Le mostre si susseguivano ora. Nel 1982 ebbi una forma di ritorno, un ricupero della classicità, però più in senso naturalistico.La mia vita artistica è una serie di altalenamenti tra la ricerca del reale e la necessità di uscirne. Questo dualismo mi tende in due direzioni antitetiche, tra il Classico e il Romantico, tra il razionale e l'irrazionale. E forse è proprio questa ricerca di equilibrio tra questi due poli che dà il senso ultimo alla mia pittura.
Sergio Albano, 2005